I grandi temi




Chi sono questi immigranti irregolari? 


Alcuni miti sugli immigranti


Questo studio analizza queste asserzioni per accertarne l'accuratezza, valutarne la veridicità e spesso confutarle o circostanziarle

Al di là del binomio “Rigugiati – Migranti Economici”

La retorica anti-immigranti ci ha abituato a vedere l’immigrazione irregolare come flusso di migranti economici, che “rubano” il posto di lavoro e benessere ai lavoratori nazionali, flusso promosso da trafficanti organizzati in reti criminali, con la complicità dei paesi di transito che influenzano i ritmi dei trasferimenti clandestini, e il favoreggiamento di organizzazioni umanitarie che agevolerebbero gli arrivi degli irregolari.

La rigida distinzione tra rifugiati e migranti economici usata dalle autorità migratorie impedisce di riconoscere la complessità delle cause dell’emigrazione, ridotte a meri calcoli economici, mentre la maggioranza dei migranti dai paesi in via di sviluppo intende minimizzare i rischi per la loro salvaguardia e sopravvivenza.

Il profilo di molti immigranti è un ibrido tra un rifugiato, definito in base alle convenzioni internazionali, e un migrante economico, ma non riflette nessuno di questi due concetti. Questo studio suggerisce una figura ibrida.

Immigranti irregolari spesso mettono l’accento sullo stato pervasivo di insicurezza che li ha motivati a emigrare, che è strettamente legato allo stato di fragilità delle società da cui provengono, devastate da violenza diffusa, guerre, conflitti civili, soprusi di ogni natura, epidemie, calamità naturali e altri condizionamenti ambientali, condizioni croniche di marginalizzazione, di esclusione e di ingiustizia sociale. Queste sono le situazioni che rientrano nella nozione di fragilità.             foto di Sabine W.

Le cause dell’emigrazione

Gli emigranti che provengono dai paesi in via di sviluppo non lasciano il proprio paese solo per godere di un maggiore benessere materiale, spinti da prospettive di un reddito personale più elevato, ma spesso ambiscono solo a minimizzare i rischi per la sicurezza e per la sopravvivenza personale e della loro famiglia 

Le  cause profonde dei grandi flussi migratori dai paesi in via di sviluppo sono infatti legate ai profondi squilibri economici e sociali della società mondiale e a dinamiche non economiche,  come conflitti armati, guerre civili, rivalità etnico-tribali, terrorismo, criminalità organizzata, traffico di esseri umani, violazione sistematica dei diritti umani e dello stato di diritto, violenza diffusa (anche privata),  fenomeni ambientali, calamità naturali, cambiamenti climatici ed epidemie. 

La forza di queste cause è di gran lunga superiore a quella delle misure adottate per contenere questi flussi. Per questo l’immigrazione è per lo più inarrestabile, per lo meno nei paesi occidentali, proprio per il paradosso liberale che impedisce alle società liberali di adottare misure repressive estreme, a cui possono ricorrere solo regimi autoritari. 

La crisi dei controlli dei confini

Le politiche di contenimento non hanno prodotto buoni risultati, non arrestano il flusso di migranti irregolari, al massimo lo rallentano o ne riducono l’entità, ma solo in modo transitorio,  mentre aumenta il numero di clandestini che evadono i controlli, ed esplodono le permanenze nei paesi in transito.  È la crisi dei controlli di confine.  Il fenomeno migratorio è autonomo dalle misure di contenimento.

In molti casi, le misure di contenimento riescono solo a posticipare problemi che vengono ad accumularsi nel tempo e si presentano sempre più gravi e ingestibili in futuro, generando serie violazioni dei diritti umani degli immigranti, mentre i paesi ospitanti non riescono a godere appieno dei benefici dell’immigrazione, perché la politica corrente è troppo occupata a reprimerla che ad esaltarne le potenzialità. 

 

Temi centrali a questo riguardo sono le trasformazioni strutturali dell’economie che accolgono immigranti, il loro sviluppo post-industriale, la segmentazione del mercato del lavoro, la diffusa terziarizzazione, le dinamiche demografiche.  L’impatto dell’immigrazione sui livelli occupazionali e salariali dei paesi d’accoglienza va visto alla luce di questi fenomeni, valutando la complementarietà e la sostituibilità tra lavoro immigrato e lavoro nazionale. 

I BENEFICI DELL'IMMIGRAZIONE 

Per superare l’ottica del contenimento dell'immigrazione occorre mettere a fuoco il contributo produttivo dei lavoratori immigranti allo sviluppo e alla congiuntura economica dei paesi d’accoglienza, che permette ritmi di crescita nei paesi ospitanti altrimenti irraggiungibili. 

La stragrande maggioranza degli studi condotti su questo tema conclude che ci sono sufficienti evidenze empiriche che attestano che l’immigrazione produce una maggiore prosperità nei paesi destinatari, espandendo sia il reddito nazionale espresso in termini aggregati che il reddito pro capite, migliorando il benessere dei lavoratori nazionali, introducendo una diversificazione della struttura della manodopera e e delle componenti intellettuali e culturali della società. Questi benefici sono reali, mentre i costi attribuiti all'immigrazione sono modesti  e spesso sono legati a percezioni, emozioni e prevenzioni aprioristiche.  

A volte viene sottolineato l’impatto dell’immigrazione sulle fasce più povere dei lavoratori nazionali. Il presunto contrasto tra immigranti e gruppi sociali nazionali più vulnerabili è spesso presentato come “guerra tra poveri”, usando gli immigranti come capri espiatori, ma le difficoltà dei gruppi nazionali marginalizzati spesso dipendono dalle inadeguatezze delle politiche sociali e distributive nazionali, e dalla loro incapacità ad affrontare problemi strutturali, e non dipendono dall'arrivo degli immigranti.

Gli ostacoli maggiori all’accoglienza degli immigranti irregolari

Per beneficiare dell'immigrazione è necessario varare politiche aperte all'accoglienza degli immigranti, estese anche a quelli che finora sono stati esclusi perché considerati immigranti irregolari. Tuttavia, i diffusi preconcetti nei confronti degli immigranti irregolari, che riflettono un sentimento di avversione o di paura, rappresentano un vero ostacolo al varo di una simile politica.  

La diffidenza per il diverso e il disagio per i presunti inconvenienti generati dalla presenza degli immigranti irregolari è esasperata da impostazioni politiche di tipo sovranista e riflette strategie comunicative che incoraggiano un campanilismo culturale estremo, che immagina barriere insuperabili tra culture nazionali, fomentando la necessità di proteggere la società dall’influenza del “contagio culturale” degli immigranti dai paesi in via di sviluppo, ponendo le premesse per una “cultura della paura”. Questo è il maggiore ostacolo  all'introduzione di qualsiasi politica di apertura all'immigrazione.

Ricerca di una cultura d’ascolto e dialogo su immigrazione e diritti umani

Esistono segnali di solidarietà e di speranza per sostenere una politica aperta all’accoglienza, che sostituiscono l'approccio difensivo del contenimento dell'immigrazione con una cultura dell'ascolto e del dialogo.  Questi sintomi si sono manifestati in processi internazionali a difesa dei diritti umani, che hanno prodotto la convenzione sulla difesa dei diritti dei lavoratori immigrati del 1990  e un allargamento delle discussioni internazionali sull’immigrazione.

Questi sforzi sono riusciti a produrre il Dialogo ad Alto Livello sull’Immigrazione e sullo Sviluppo Internazionale presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e il Vertice di New York sull’immigrazione ed i rifugiati del 2016, che portò all’adozione nel 2018 di due Patti Globali, uno sull’immigrazione e uno sui rifugiati. È su questa base che è possibile definire una nuova politica migratoria. Il Global Compact on Migration persegue una migrazione sicura, ordinata e regolare,  ma il suo quadro è insufficiente per raggiungere quell’obiettivo per una carente strategia operativa ed un approccio frammentario.

L'unica personalità di alto profilo internazionale che si è schierata senza alcuna ambiguità a favore di una politica di accoglienza è Papa Francesco, che ha sintetizzato il suo messaggio proponendo al mondo intero quattro linee di azione: accogliere, proteggere, promuovere e integrare tutti gli immigranti. Non troviamo ancora nessuna figura politica eminente a capo di governi o di stati o di organismi internazionali che abbia raggiunto questo livello di chiarezza a favore di una politica di accoglienza degli immigranti, esprimendola senza ambiguità, esitazioni e reticenze. Tuttavia, analoghe posizioni sono state espresse da molte altre personalità di alto livello, in rappresentanza di diverse denominazioni cristiane  o altre religioni, movimenti laici d'ispirazione secolare, ONG, e singoli uomini politici, accademici, sindacalisti, opinionisti, giornalisti, studiosi, e in generale rappresentanti del mondo della cultura, che esprimono un analogo messaggio di solidarietà a favore di una politica dell’accoglienza verso gli immigranti. 

Cercando una politica di accoglienza per gli immigranti

Includiamo tra questi tutti coloro che si battono per la tutela dei diritti umani e che si impegnano a favore dei membri più deboli della nostra società, inclusi molti funzionari di organizzazioni internazionali e nazionali e amministratori di strutture pubbliche e private nazionali impegnati nell'accoglienza degli immigranti e in attività che favoriscono  la loro integrazione nei paesi ospitanti.  

Questo studio analizza tutti questi segnali, individuando sentieri da percorrere per fare ulteriori progressi, e propone una riflessione su passi successivi da compiere nelle seguenti aree: (a) la transizione dall’immigrazione irregolare a quella regolare; (b) l’ammissibilità di immigranti irregolari provenienti da stati fragili; (c) la riduzione dei rischi di sicurezza personale degli immigranti; (d) l’accesso degli immigranti al mercato del lavoro nell’ambito di un approccio programmatico partecipativo; (e) il dialogo aperto con gli immigranti; (f) la centralità delle condizioni di sicurezza durante i viaggi degli immigranti irregolari.